Se Dante fosse un pittore contemporaneo, dipingerebbe il suo Inferno così?
Andai a vedere questa mostra nel 2021: lo stile crudo ed esplicito di Claudio Sacchi mi fece effetto fino a star male.
Uno stile medievale più classico mi avrebbe scosso ma non nauseato. D’altronde ogni cosa va chiamata col nome che le spetta; e l’inferno è appunto un’immensa tragica fine.
In un commento all’entrata si definiscono questi lavori di una “fisicità prepotente e carnale”. Dopo vari giri ad osservare un quadro e l’altro, e tornando spesso sui miei passi, ho finalmente capito la differenza fra fisicità e carnalità. Figure assuefatte, anestetizzate che non sanno più che cosa è bene e cosa no, ma nemmeno se ne curano più. Gente vinta.
Perché l’inferno dice:
lasciate ogni speranza voi ch’entrate
E’ la mia arte preferita quella in cui riecheggia il legame fra antico e moderno, e questi sono lavori perfetti. Come se Dante stesso avesse “tradotto” in uno stile a noi di oggi più accessibile la condizione dell’essere immutabile nei secoli.
Tanti i volti che sembrano figure già viste su qualche pubblicità d’evento nelle discoteche di Ibiza, in cui son fiera di non aver mai messo piede in quegli otto anni che ci ho passato.
Sarebbe stato un assaggio d’inferno: bastava guardare le facce di chi aspettava il pullman per tornare in hotel…
Il primo quadro che trovo all’entrata è, secondo me, quello più lontano dall’argomento in oggetto: un ritratto di Francesca da Rimini, con le perle sulla fronte. Ma in questo particolare contesto, percepisco una velata allusione a una sostanza molto diversa dalle apparenze signorili. Come a dire: così sembrava, eppure andò perduta.
Mi ricorda la trama di Suspiria, il film di Argento seguito da un rifacimento più moderno di Guadagnino. I due film si complementano; il male da nascosto si fa sempre più accessibile, normalizzato nella vita corrente non perché non ci sia niente di male, ma perché si perde il senso di che cosa sia davvero il male.
E mi viene da fare un paragone colla natura. Libertà, farsi i fatti propri… che male c’è? Se li fa anche un gatto. Sì. Ma un gatto non si sognerebbe MAI di andare ad alterare l’ecosistema in cui vive.
L’essere umano invece lo fa, e difatti è lui a trovarsi davanti a Caronte, a un passo dall’abisso senza ritorno, come inerte, spossato, svuotato di ogni energia… O addirittura dormiente intorno a Minosse, a un passo dall’essere giudicato per l’eternità.
Claudio Sacchi pone uomo e donna sulla stessa bilancia, come a ribadire una volta di più che siamo in parità di condizione. Il fiume è rosso, ma loro niente, non reagiscono nemmeno…
Dante nel Minotauro ha dipinto addosso un malessere che raggiunge anche me. Nella sua selva non vedo bestie feroci, ma rovine con catene, facce scolpite e tronchi di corpi senza un punto di collegamento. Le rovine ci rimandano alla storia antica, e questo ci appassiona sempre; qui però sembrano buttate tutte nello stesso mucchio, con un gran senso di abbandono…
Dante che guarda, che ha un mancamento, che si guarda indietro Alle Porte di Dite… e i 1000 demoni dove sono?
Forse non dipingendoli, Sacchi vuol farci capire che siamo noi che non li vogliamo vedere? O forse ci sono, ma non si vedono? E allora Sacchi vuol farci intendere che siamo noi a considerarli piccoli?
Caronte arriva in lontananza su una barca a tre posti. Qui la ressa descritta nel poema non si vede, ma i suoi occhi fiammeggianti sì. Lo aspettano sulla terraferma (ho evitato di metterli in foto) un uomo apparentemente rilassato (o rassegnato?), con gli occhi chiusi, e a un lato una donna accasciata incatenata al collo (uccisa?).
Una barca a tre posti e un panorama apparentemente “tranquillo” nonostante la scena indichi quella che è l’anticamera del luogo ultimo più spaventoso.
Eppure nessuno ci fa caso. Arriva il nocchiero a caricare anime, non è uno che lavora nei trasporti… Sono vicini ad essere gettati, eppure niente… non un minimo accenno di volontà.
Manca del tutto la vita.
Virgilio è in veste bianca e con volto pulito. Probabilmente conserva il vestito come simbolo di correttezza e dignità, e forse anche per avvicinarsi meglio a Dante, per ispirargli fiducia. Anche lui è nell’Inferno, ma nell’unico luogo esente da violenza.
Quello qui sotto invece è Paolo e Francesca che rende al meglio l’idea di corpi che sanno di trasporto dei sensi, senza valore di intimità, come certe immagini mercificate. Non le figure che avrebbe dipinto Caravaggio, che se prendiamo la Gorgone, quella sì che fa più paura.
No. Sono figure familiari, uguali a tante di quelle che siamo abituati a vedere. Qui però senza più nessuna maschera. Dante è ben cosciente che quello che in questa vita non si vede, un giorno sarà esposto.
Il nudo biblico non è tanto fisico, quanto quello dell’anima, cioè: chi sei veramente?
Transito in questi pensieri mentre arrivo davanti a Lucifero, e mi sento male… Avete mai visto un animale che ringhia? Io in un modellino di lupo anni fa al castello di Susa.
Un animale che ringhia però lo fa sulla base di un istinto. Questo qui è come quando Dante arriva davanti ai giganti nella parte ultima e più profonda dell’Inferno; non sono animali.
Hanno una volontà.
È tutto troppo normalizzato, e se ne sente l’eccesso. Non è la fisicità parte integrante dell’ essere, ma una carnalità fine a se stessa, che ti prende e ti toglie, che non lascia niente, e anzi desertifica dentro.
Bravissimo Sacchi. Ha centrato il tema al cuore.
Tanto che io fremo per uscire a riveder le stelle.