Sono nata nel ’68, l’anno delle contestazioni.
Me lo hanno spiegato, perché era la prima volta che vedevo il mondo. Mia madre disse che avevo già un bel po’ di capelli in testa quando sono nata, e che avevo un peso eccezionale. Nel riguardare le foto della mia infanzia, devo dire che non ricordo granché, ma dalle espressioni dovevo essere un bel caratterino. Sorridente, sbarazzina, con due occhioni curiosi.
Sono cresciuta in quell’epoca della storia d’Italia che oggi viene considerata la più oscura del nostro dopoguerra; gli anni del caso Calvi, del terrorismo, e del mistero sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Ricordo ancora quel famigerato giorno in cui l’edizione straordinaria di un telegiornale diede l’annuncio del sequestro Moro. Solo la maturità ti fa comprendere la misura di certi fatti, e te li fa comprendere in tutta la loro dimensione di sofferenza provocata e di conseguenze per le generazioni future. Oggi mi sento parte di un popolo e di una terra i cui dolori e gioie di ogni tempo sono anche le mie.
La mia città è stata una grigia metropoli del nord, Torino, la cui immediata vicinanza con le Alpi e la Val d’Aosta incanta le cartoline. Una città sobria ma anche poco comunicativa, all’avanguardia per quanto concerne i servizi, ma allo stesso tempo distante e diffidente. Grazie alle olimpiadi del 2006 le cose sono cambiate per certi versi in meglio: è aumentato il turismo, il che ha dato più risalto alle residenze dei Savoia e alla vocazione per gli eventi nazionali e per i congressi, in quanto la città ha saputo costruirsi un’ottima reputazione. Ma io allora non sapevo neanche indicare che cosa ci fosse di tipico a Torino… Percepivo che le è sempre mancato molto di quello spirito affaristico che invece ha favorito Milano. Ricordo che sognavo che prima o poi me ne sarei andata, e alla fine così è stato. Sono felice quando ogni tanto ci ricapito, o anche solo quando la vedo in tv. Ma non tornerò a viverci.
Sono cresciuta con molti complessi, cercando di barcamenarmi fra un padre assente, una madre ansiosa, e parenti che non vedevamo mai. Un po’ perché sparsi fra Veneto e Trentino, ma soprattutto per mancanza di un senso autentico della famiglia. Questa situazione mi faceva sentire come in balìa del vento, senza equilibrio. In particolare la cosa più destabilizzante era l’estremo fra i miei genitori, l’assenza totale di rapporto con mio padre a cui mia madre cercava di sopperire prendendo lei in mano le redini, non rendendosi però conto che non mi lasciava fare le mie esperienze e alimentava in me profonde insicurezze. Mia madre non era una despota, anzi, una donna molto intelligente: ma in quel momento mio di crescita sentiva che era compito suo dirigermi, e dato il suo carattere di romagnola estroversa, finiva sempre col dominare lei la situazione. Non impediva niente, ma tendeva un po’ troppo a credere di dover sempre e comunque dire la sua. Col tempo ha capito i suoi errori, mentre io ho sentito che lei era stata sempre sola; e sono felice che abbiamo potuto chiarirci.
Dopo le scuole medie, il limite di allora per l’istruzione obbligatoria, ho scelto di continuare gli studi in un liceo linguistico, dove i miei complessi si sono manifestati ulteriormente. Aspettavo sempre l’ultimo giorno per studiare, ricordo persino di aver marinato una settimana intera per evitare una figuraccia da impreparata all’interrogazione. Non so come, ma ce l’ho fatta lo stesso. Nel frattempo ero anche venuta in contatto con l’associazione Intercultura, e avevo fatto l’esperienza di ospitalità di una ragazza americana per un’estate, oltre a un po’ di volontariato e al mio primo viaggio oltreconfine a Monaco di Baviera. Dopo il diploma, ho manifestato l’interesse di fare un’esperienza di vita all’estero per un anno, tipo momento sabbatico, e ho scelto di iscrivermi ad uno dei programmi di un’associazione sorella di Intercultura, l’Afsai, che mi ha mandato in Islanda.
All’inizio per me questa era la novità di fuga a lungo sognata di cambiare aria. Nuovi però sono stati anche i problemi che ho sperimentato: la disoccupazione, l’abitare in una famiglia unita in cui io invece mi sentivo come un pesce fuor d’acqua, e soprattutto la sorpresa che le mie aspettative di frequentare una scuola locale si erano tramutate in un periodo di lavoro in fattoria, per colpa di fraintendimenti d’ufficio. Ero arrabbiata, ma allo stesso tempo qualcosa mi faceva vedere al di sopra del mio orgoglio ferito, evidenziando che ero in un posto meraviglioso e che ci volevo restare, e che questo contava ben più di qualsiasi programma andato in fumo.
Tornata in Italia ho scelto di continuare gli studi in una scuola interpreti. Allora mi preoccupavo di avere un diploma ufficialmente riconosciuto, e l’opportunità più a buon mercato (erano purtroppo scuole tutte private) era Perugia. Ma dopo due anni ho interrotto, fermandomi alla qualifica di traduttore commerciale. Ormai avevo capito che quello che volevo era vivere, non andarmi a rinchiudere in qualche rinomato ufficio. Non mi sono mai pentita di questa scelta.
Dato che uno degli obblighi che avevo per accedere al diploma era quello di dimostrare di aver soggiornato in almeno un paese di cui studiavo la lingua, avevo letto di centri in cui era possibile ottenere vitto e alloggio in cambio di lavoro volontario. Ho così “scoperto” l’America e la Nuova Zelanda, andando a soggiornare in due monasteri nel South e nel North Dakota, a diretto contatto con gli indiani, e in un campeggio cristiano nei dintorni di Christchurch. Ero meravigliata di quante belle cose mi succedeva di vedere e provare, e le vivevo nel mio intimo, senza raccontare più di tanto. Sono grata a mia madre per avermi aiutato, ma oggi so che c’era dietro un Disegno più in grande. Erano porte che mi si aprivano, per farmi vedere che la vita non era affatto quello che respiravo in casa mia; e tutto questo è stato fondamentale per formare la persona che sono oggi. Mentre tutti pensavano solo ad andare in Inghilterra, io ero riuscita ad arrivare fino all’altra parte del mondo, quando le comunicazioni si facevano ancora a mezzo lettera, e trovando voli supereconomici.
Finiti gli studi è cominciata la ricerca del lavoro, che all’epoca era già difficoltosa, ma non come oggi. Sognavo di entrare in aziende come Alitalia e Costa Crociere, quando quello che Torino allora poteva offrire era solamente un’idea di impiego più o meno sicuro.
Sono così partita per la Francia a Disneyland, poi in Spagna dove sono rimasta undici anni, di cui otto ad Ibiza (senza mai entrare in una discoteca!), e gli ultimi due a Saragozza. Rientrata a Torino nel 2009, sono ripartita per una sostituzione alla reception di un hotel 5 stelle lusso a Firenze, e questo mi ha fatto scoprire una città speciale, così affascinate e intrisa d’arte al punto da cominciare a pensare di trasferirmici. Subito dopo a mia madre è stato diagnosticato l’Alzheimer, situazione che mi ha confinato in casa per sei lunghi anni. Solo a seguito della morte di entrambi i genitori, e dopo aver sperimentato un grande cambiamento caratteriale, mi sono ritrovata finalmente libera da ogni vincolo.
Sono quella delle situazioni controcorrente; quando lo racconto stentano a crederci, invece è così.
Quando si trova un lavoro si pensa di essere arrivati, invece la vita va avanti, e tu cresci e le tue prospettive cambiano. Erano già due anni che in Spagna non mi sentivo più a casa, e oltretutto ero anche straniera, in un paese solo apparentemente simile al nostro. Il lavoro trovato e poi perduto, la crisi, hanno dato il nulla osta alla partenza definitiva. In nessun caso però si è trattato di una delusione, anzi, avevo visto esaudire due sogni, e nel pieno delle possibilità. La musica di un gruppo musicale leggendario, Héroes del Silencio, e poi il primo impatto con Madrid, che per me è ancora la città più bella del mondo, avevano legato il mio cuore a quel paese. L’altro sogno era rivedere proprio Firenze, magari nel corso di una gita, quando invece mi si è aperta una porta di due mesi, facendomi dono del tempo sufficiente per viverla.
Dalla morte di mio padre nel gennaio 2017, sono passati ancora parecchi mesi prima di potermi muovere in qualche direzione. Ero diventata erede del nostro appartamento, e avevo tentato di affittarlo tramite un’agenzia ma senza successo, riuscendo ad ospitare solo una studentessa canadese giunta a Torino per un master che aveva saputo della mia disponibilità dalla cameriera di un bar.
Alla fine ho venduto tutto e mi sono trasferita a Firenze. Di questo e altro passo ora a raccontare, entrando a poco a poco nel vivo di quella che è la mia esperienza cristiana, e di tutto quello che, grazie ad essa, mi ispira.
Emisfero sud: estate in Nuova Zelanda
La terra era informe e vuota e le tenebre coprivano la faccia dell’abisso; e lo Spirito di DIO aleggiava sulla superficie delle acque. Poi DIO disse: “Sia la luce!” E la luce fu.